Ottimismo, sicurezza, amore per la vita in tutti i suoi aspetti, attrazione per la forza:
le sue fotografie sono la prova che si tratta di un giovane artista. I suoi oggetti, siano completi o incompleti, esprimono sempre in pieno la vita, con lo loro profondità e la loro acutezza.
Ed io sarò sempre felice di far vedere le foto di Michelangelo Giuliani.
Michelangelo Giuliani è estroso, ostinato, avido, incontentabile, come i poeti. Fotografa con gli occhi, con l’impertinenza e il ritmo fanatico di un ballerino. Intuisce sull’attimo. E i suoi “pensieri” scritti colpiscono come un’arma.
Ho sempre sostenuto che la fotografia nel cinema è ancora allo stadio infantile e che non c’è paragone fra i tentativi di ricerca e di innovazione dei fotografi e quelli limitati che facciamo noi per i nostri films. Una riprova dell’interesse più meditato e approfondito dei fotografi per il loro mestiere è l’estroso e interessantissimo volumetto di riflessioni sulla fotografia di Michelangelo Giuliani. Raccomando il De Photographia a tutti quelli che, come me, sono convinti delle enormi possibilità di progresso nella immagine cinematografica.
Non è un libro. E’ un vangelo. L’arte fotografica ha un messia. I seguaci non gli mancheranno. Noi siamo i primi.
Che la fotografia sia davvero un’arte? E che abbia anch’essa, come tutte le arti, il bisogno, per manifestarsi, di quella forma estrema di coraggio che si chiama esibizionismo?
Il libro De Photographia di Michelangelo Giuliani è di una innocenza e ingenuità straordinaria. L’innocenza che viene dalla passione per il mestiere che fa e l’ingenuità nel senso di non controllo, come succede in tutte le persone che hanno una fede, una passione. Dal libro ne esce un carattere, un’avventura di vita, un’estrema positività. Michelangelo si serve di un mezzo moderno, lo sublima e diventa addirittura la macchina fotografica.
E’ la città dell’ultimo futurista, a Roma,
centocinquanta metri sul livello del mare,
uscita numero UNO del raccordo anulare,
un’architettura originale, a dieci minuti dal Vaticano,
dieci dall’autostrada di Civitavecchia,
dall’areoporto di Fiumicino, dal mare.
Quindici unità immobiliari,
dai sessanta ai duecento metri quadri,
due loft di mille metri cubi,
duemila metri quadri coperti da terminare,
ottocento di terrazzi, giardini pensili,
un attico di duecentocinquanta metri quadri,
ampi loggiati su panorami mozzafiato.
A Castel di Guido, l’antica Lorium,
prima posta al km 13,700 della via Aurelia
dove Marco Aurelio aveva la villa e trovò moglie,
Faustina, figlia dell’imperatore Antonino Pio,
che ivi morì nel 161 d.c.
A due passi dal più grande cimitero di elefanti
dove andavano a morire
300 mila anni prima di Cristo i nostri antenati,
chi discende dalla scimmia abita altri luoghi, e si vede.
Fra TORRI e VALLATE,
strade private, alberi d’alto fusto,
il tutto recintato da alti muraglioni e torri d’avvistamento,
su quindicimila metri di terreno che confina con l’infinito,
ampliabile, sopraelevabile, in una natura incontaminata,
dove il ponentino dopo il sacco di Roma ha chiesto asilo.
L’ho fatta per Berlusconi
gridavo ai vigili che venivano a sequestrarmi le costruzioni,
prima dei condoni,
e loro implacabili si rimboccavano le maniche, per multare,
braccia strappate alle betoniere.
La villa padronale ha soffitti all’italiana,
pavimenti in cotto, cinque bagni,
tre camere indipendenti per gli ospiti,
due cucine, sei camini, forno per le pizze,
ascensore, garage, sauna, palestra, sala di posa,
serra, chiesetta, tiro a segno...
la struttura è antisismica in cemento armato,
ottemperando a tutte le licenze dello stato, malato.
Anche il soppalco a guscio della tartaruga è stato condonato.
La casa del guardiano ha due camere da letto,
salone, due bagni, camino, tana per il criceto, il riccio dorme in tenda.
Garritte della vigilanza tutto attorno,
anche se sono i serpenti a fare la guardia
e se senti urlare sono i ladri non l’antifurto,
oppure la volpe che essendo nomade ruba anche di giorno.
Amo le case che non finii, le foto che non sviluppai
perchè nessuno le potesse vedere, abitare.
Discorso a parte meritano il dodicenne Giuliani Michelangelo alunno della seconda E per la forza di toni e di costruzione della sua natura morta con mandarini. Questo fu il mio debutto sul Resto del Carlino. Cronaca di Ferrara. Era il 1955. Dipingevo. Fra le altre cose tronchi mutilati, sanguinanti. Ero vegetariano. Poi mandai una foto a un concorso fotografico in Germania. Internationalen Blitzfoto. Era il 1962. Vinsi un premio con la foto di una ragazza ombrello quando ancora non esistevano. All’international photo contest dell’Asahi Pentax in Giappone altro premio previo invio del negativo. Pagatomi con una targa e una penna biro. Era una fanciulla con i capelli al vento. Nel 1963 tentai il salto al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma dove mi assegnarono il quarto posto per numero tre posti. Tornai indietro. Feci un filmetto in 8 mm come attore e regista con un amico, Giovanni Cavicchioli e vincemmo un monopiede. Al concorso cinematografico a passo ridotto del 1964. Il Po e le sue genti. Presidente di giuria Cesare Zavattini. Titolo dell’opera. Non tutto il male. Il mio logo.
L’ultimo exploit giovanile fu al concorso fotografico Estense dove su otto primi premi ne beccai sette perché al colore non avevo partecipato. Era fatta, andai a Roma, quindi a Parigi e Albert Plecy su Point de Vue mi incoronò l’enfant prodige de la photo. Troppo successo, al club Estense non accettarono le mie dimissioni, oramai mi ero trasferito, fui estromesso.
A Roma mi stabilii nel 1965. Uno dei primi servizi fu sui capelloni di piazza di Spagna, completamente inventati, che poi spopolarono in tutto il mondo, un altro fu sui Cobra, una banda di Ferrara che correva sui binari del treno da cui Stephen King ricavò un racconto che divenne un film, sempre Cobra erano, lo dice lui in un libro che si ispirò a delle foto viste su un settimanale. Weekend in Inghilterra era uno di quelli.
Era il febbraio del 1966 quando scippai a Gigliola Cinquetti le mutande, classiche, bianche, ritoccate in tipografia per evitare pieghe maliziose. In braccio a Modugno al festival di Sanremo. Ho anche insegnato per un paio di anni all’Istituto di Stato per la Cinematografia. Fotografia d’arte.
Ho fotografato tanto, da Bacchelli ad Alfonso Gatto. Da Moravia a Ruggero Orlando. Da Paolo Poli a Zavattini, Berto. Dai primi passi all’Osservatore Romano della domenica, regnante il professor Zuppi, mille lire a foto, alle spaccate delle donne morte su Playmen, all’Italia delle meraviglie per Excelsior, regnante Massimo Balletti, passando per Le Ore, regnanti Gerald Messadiè e Vezio Lucchini, fino a Panorama di Lamberto Sechi, alla Rai di Brando Giordani. Qualche video, qualche sigla. Da Mister fantasy a Odeon con il mostro dietro l’obiettivo nel 1978 con la Muti a Colosseum, alla sigla di Italia Sera sull’Italia in miniatura. Più qualche pubblicità soprattutto a me stesso. Il manifesto Craxi ha tentato di baciarmi è del 1979. Reagan c’è riuscito con il bacio rosso in fronte a Cannes del 1981.
Con le sigle di Pianeta Cinema, Andiamo al Cinema, Grande Cinema ero più noto per stare davanti che dietro l’obiettivo come scrisse Giancarlo Fusco. E siccome la cinepresa mi dava gusto abbandonai la fotografia e le mie quattro mostre, più una al circolo della stampa di Bologna che in Israele divenne itinerante.
I Mostri al Palazzo dei Diamanti a Ferrara nel 1971,
Michelangelo Fotografo alla galleria dell’Obelisco nel 1972,
Il Pomo d’Achille al museo di Castelvecchio a Verona nel 1973.
Anno del libretto nero per la rivoluzione culturale dei fotografi, il De Photographia,
divenuto poi il primo quotidiano che usciva una volta l’anno per il mio compleanno.
Quindi la Mostra Bucato al Palazzo Reale di Pisa nel 1975,
Apache le tracce dell’uomo allo studio Palazzoli di Milano nel 1977.
Nel 1978 annunciavo Slip il primo film che si può vedere alla rovescia per promuovere il quale ho fatto qualche puntata al festival di Cannes, di Venezia da abusivo. Ricordate il venditore di biciclette in Buch Cassidy?
A Cannes travestito da cieco spingevo la protagonista nella carrozzina che sbandierava un cartello. Fate un’intervista a un’attrice che sta facendo un film che non vedrete mai. Il mio lo vedrete replicava Ferreri stizzito.
E difatti fu un film mai distribuito anche perché si fregarono il titolo che comunque segnò la moda degli smutandati, Culotte in Francia, etc. Oreste Lionello era la voce fuori campo.
Al festival di Venezia un corpo di ballo cinguettante Cineriz Cineriz andava a morire ai piedi dei mostri sacri al mio grido. Ben Gazzarra fu l’unico spiritoso precedendomi nell’urlo a cui le ninfette ubbidirono, spiazzandomi.
Nel 1988 ho comprato casa e mi sono innamorato. Ci si può innamorare di una casa? Di una cosa che non hai mai avuto? Che mi ha fatto scoprire il martello pneumatico, l’escavatore, il giallo Kodak del Caterpillar. Più venti bovari del bernese. Nikon e Minolta i fondatori.
Per venti anni ho piantato palme e costruito in culo alle leggi che mi hanno spennato. Insomma ho sbagliato tutto. Per cosa verrò ricordato? Per aver fatto scoprire la fica a Moravia? Quello che del mio film più l’ha impressionato. Nell’unica scena in cui l’attrice era senza mutande, dopo un’ora di proiezione, sotto le gonne, finalmente!
Ma le cose più importanti sono quelle che non ho fatto. Non aver fotografato Flaiano e Nabokov per esempio. Non aver esposto la Mostra Bucato con Wharol a Palazzo dei Diamanti di Ferrara su invito di Franco Farina allora direttore del museo. Non aver curato la fotografia nel Deserto dei Tartari su richiesta di Valerio Zurlini. Che aveva sposato la più bella ragazza di Ferrara, Rosa Maria Zanni, ancora me lo ricordo. Quante occasioni buttate!
Non aver seguito la Vertmuller in Sicilia per Mimì Metallurgico dove ha piazzato i miei culoni che le hanno dato tante soddisfazioni. Non aver raggiunto Lucio Dalla e Ron a Mont Carmel in America da Paul Anka per la RCA. Per paura dell’aereo. Ti terremo presente per Roma e dintorni mi dissero. Ultima occasione buttata non aver fatto il calendario delle Ragazze d’Italia per il Corriere della Sera ai tempi della lega. Per non guardare nell’archivio che da trent’anni rifiuto. Ma se non fossi fallito avrei scritto?
Ricordo le urla di Ugo Zatterin perché dell’Italia che canta in giro con Giuseppe Lugato per il Radiocorriere gli inviavo le foto prese da sotto le gonne nelle discoteche, pannolini a iosa. Diapositive in rosso. Ricordo il direttore di Orizzonti della San Paolo, don Bonetto che mi invitò a ripresentarmi senza raccomandazioni dedicandomi subito la copertina e dieci pagine interne, poi lasciò l’abito talare, si sposò e morì giovane.
Ricordo la faccia ironica del direttore di Playmen, Luciano Oppo, quando alle proiezioni dei miei servizi si vedeva solo il culo, la fica me la scordavo. Ricordo una visita a Enzo Biagi che mi voleva introdurre all’Europeo ed io fuggii perché avendo avuto qualche contatto con il redattore capo mi sembrava di scavalcarlo. Ricordo gli editori di riviste erotiche stranamente tutti di Palermo, Balsamo, Immordino, Cardella... ricordo Giò Staiano prima che si facesse le tette, si tagliasse il pisello e morisse in convento dalle suore. Sulla fiducia? Avranno controllato?
Ricordo l’ingranditore di Gianni Boncompagni photographer nello studio che aveva con James Baes che mi ospitava mentre Gianni provava a cantare firmando Paolo Paolo. James Baes finirà come direttore editoriale da Larry Flint a Penthouse.
Ricordo Cristian De Sica con la fidanzata in prima fila al cinema al mio fianco per anni senza che ci siamo mai parlati. Ricordo che eravamo in due in sala all’Alberichino quando debuttò Carlo Verdone, l’altro era il critico di Paese Sera. Alla fine andai a complimentarmi scordandomi d’essere un fotografo. Ne parlai con suo padre sotto i famosi portici, lui non l’ho mai visto.
Ricordo Bassani presidente della RAI che andai a trovare con mia madre da Ferrara per sentirci dire che in quel posto l’aveva messo il partito. Non ci iscrivemmo, non se ne fece nulla. Ricordo invece Lucia Alberti che mi veniva a prendere all’ingresso del premio Strega e a cui ho fatto tanti ritratti in cambio di tanti oroscopi, favorevoli. Ricordo Carlo Rambaldi quando raccontava in dialetto ferrarese lo sbarco in America prima del successo. Ricordo Sergio Zavoli sulle cui orme ho fatto tanti servizi sulla nostra terra prima che anche il prosciutto diventasse fiction. Ricordo una notte da Agnelli con Franco Maria Ricci, Massimo Moratti a casa sua che si nutriva di cervello condito premurosamente dalla consorte. L’ultimo grande ricordo va a Gardini, Berlusconi è stato il rimedio e siamo rimasti in brache di Di Pietro.
Ero l’angelo della luce, l’ultimo futurista. Nato a Forlì il 30 gennaio del 1943. Cresciuto a Ferrara, a tredici anni avevo già la macchina fotografica in mano quando tutti si facevano immortalare al telefono. Le donne con l’ascella in primo piano. Quella depilata per il fotografo.
Poi un giorno il mondo si è fermato, ho ancora i cassetti pieni di pellicola vergine, sigillata.
L’avevo sempre detto, vesto di nero perché sono una pellicola non impressionata, della fotografia si è scritto poco perché ai fotografi si sono sempre chieste più le donne che le foto. Avanti Biscione. Il logo del fondatore che non lo porta certo a sinistra ma arrotolato. Con la prostata operata a Maranello. Il cavallino rampante di Montezemolo.
Morale, se nella vita ho avuto un torto è stato quello di aver lasciato Berlusconi in pace. Se l’argeant fece Daguerre cosa avrebbe fatto di Michelangelo Giuliani?
La mia prima fascia fu un rullo 6x6 perché con il 24x36 mi usciva il posterificio.
Il fotografo è un moralista nella divisa sbagliata. Quella del corruttore.
Dio è donna? Houston abbiamo un problema.
Le vergini ce le hanno tutte i posteri.
La Kodak ha chiuso! Troppi burqa in giro.
Il ponte sullo stretto di Messina è sfuggito di mano,
è arrivato in Africa, è andato troppo lontano.
In occidente abbiamo fatto passi da gigante con il culo da fuori,
con il burqa vedremo. Sono passi da gigante anche all’indietro?
Dio esiste, ma non lo dice lui. A chi dobbiamo credere? A noi?
Perché dare del lei al prete e del tu a dio? Per rispettare la gerarchia?
Se le carote avessero l’anima di certo non farebbero bene.
Passerai sul mio cadavere disse lo spermatozoo all’immagine.
Se internet è la strada perchè non dovrebbe essere rischiosa?
Se l’imperfezione genetica è stata la fortuna dell’evoluzione umana,
Montalcini dixit, chissà dove arriveremo con questi africani!
Aridacce la costola, la donna è una fregatura
Senza costola Adamo divenne Abarth cioè donna.
Gli animali non essendo a immagine di dio nascono vestiti, meravigliosamente.
Un giorno i fotografi reggeranno gli specchi, quel giorno è oggi.
Svelato l’arcano, Eva fu cacciata perché allo spirito santo piaceva Adamo.
Arrivano in barca senza saper nuotare. Hanno le vergini in fondo al mare?
Vengono per stuprare? Non si può interrompere un’erezione. Lasciateli annegare.
Meno lo vedi più ci credi, più lo sogni, più lo invochi, la prova che dio è donna.
Se dio fosse donna non eviterebbe certo di mettersi in mostra.
In natura nulla si butta, solo la vita.
Le donne sono la brutta copia della loro fotografia.
Chi attaccherebbe al muro il poster di un postero?
I froci hanno tanti poster e pochi posteri.
Il paradiso si può pubblicizzare usando le donne, purché vergini,
le automobili invece no, nemmeno i frigoriferi, che cazzo di morale è?